Il nome della mostra è la chiave di volta di un ampio arco semantico che racchiude arte, mare e Giappone.
L’artista Elena Di Capita ricorre per le proprie opere all’antica arte giapponese denominata Gyotaku (魚拓, da gyo “pesce” + taku “impressione”, “litografia”): è il tradizionale metodo giapponese di realizzare stampe di pesci, una pratica che affonda le proprie radici alla metà del XIX secolo.
Questa forma di stampa naturale era in origine usata dai pescatori giapponesi per testimoniare le proprie catture, ma finì presto per divenire una forma d’arte a sé stante.
La forma che l’animale lascia sulla carta, è un’impronta di una storia vissuta, così come il calco del volto che si usava fare al celebre defunto per trarne un’ultima immagine della sua esistenza, una “maschera” che sopravvivesse in eterno al deperimento della carne.
Ecco che osservando le pareti dove sono appese tutte le immagini di pesci viene subito alla mente l’immagine di un ricco, animato, vitale mercato del pesce: al contempo però quelle ‘impronte’ diventano un fermo immagine, una fotografia della storia del mare e dell’uomo, che lo abita, attraversa e preda.
Sulle antiche radici marine che sorreggono la storia del Giappone si appoggia anche la spina dorsale di questa mostra. Un anello lega ulteriormente i significati ed i tempi che compongo il progetto: l’artista Di Capita è stata infatti messa in dialogo con la xilografia “Il Fiume dal Ponte” (1800) dell’artista giapponese più conosciuto e riconosciuto in Occidente, Katsushika Hokusai.
Questa tavola appartiene alla serie denominata “Toto shokei ichiran” 東都勝景一覧 (Belle vedute della capitale orientale a colpo d’occhio).
Le strade di Toto (Tokyo) anche quando Hokusai ne fermava con le sue delicate e dettagliate istantanee la vita di tutti i giorni, brulicava bagnata della vita di quel mare che riceveva le acque dei fiumi Ara, Somida e Tama.
Ed i pesci portati dagli uomini in panieri sulle spalle, ci riportano ancora una volta al lavoro di Di Capita.