quel che resta 築地市場

Gyotaku Levante

Palazzo Giorgi, Chiasso del Bargello 5 - Siena

20 febbraio / 20 marzo 2022

La mostra

Cosa può tenere insieme l’opera di Elena Dicapita e Katsushika Hokusai?
Quale filo può unire a distanza di quasi diecimila km ed oltre due secoli i Gyotaku levantini e “Toto shokei ichiran”?
Naturalmente il paese del Sol Levante è la Madre di questa unione.
Hokusai ne è l’artista per eccellenza: protagonista di mostre di successo in tutto il mondo, presente financo nelle emoticon di whatsapp; primo ambasciatore di quel giapponismo che già alle fine del XIX secolo portava nei salotti e negli appartamenti europei più à la page le stampe, i kimono, la cerimonia del tè. Un’icona pop suo malgrado.
Dall’altro canto tutta l’arte di Dicapita è intrisa di Giappone: la tecnica del Gyotaku, la carta di riso, il mare.
Dall’altro canto tutta l’arte di Dicapita è intrisa di Giappone: la tecnica del Gyotaku, la carta di riso, il mare.
Proprio il mare è il grande alveo in cui la mostra, e questo dialogo, fluiscono e si celebrano. 
Isole di fuoco e ghiaccio, come perle sul collo del Pacifico compongono la collana che forma questo paese unico al mondo. Isole, circondate e delineate dal mare che scorre nelle vene di quel popolo: le famigerate baleniere, il dilagante inflazionato sushi, il celebre mercato del pesce di Tokyo.
Così Hokusai, che nelle Cento vedute del Fuji incastona il vulcano in una cornice di onda, e nelle Belle vedute di Tokyo non può non includere tra le scene ed i protagonisti impressi gli alacri pescatori e le loro guizzanti prede.
Ma un’idea molto più sottile, sussurrata forse impercettibilmente, aleggia – o meglio fluttua – nella corrente di questa mostra: la fragilità della bellezza.
E quanto più è fragile e delicata, tanto più la bellezza tende alla perfezione, al divino.
Da una parte c’è la fragilità e delicatezza della carta washi su cui, attraverso matrici di legno di ciliegio, gli ukiyo-e disegnavano eleganti, nitide figure, che con determinate gradazioni cromatiche raffiguravano scene di vita quotidiana, paesaggi, fiori, uccelli, scene erotiche, attori di kabuki e soggetti fantastici.
Dall’altra c’è la fragilità del mare stesso. Impetuoso ed indomabile, sconosciuto e senza confini, fino a ieri rappresentava una sfida, una condanna ed al contempo era emblema di opportunità e promessa: adesso invece il grande polmone della vita sulla terra è sotto attacco da parte dell’uomo, e quanto mai fragile sembra resisterci con difficoltà, pronto ad arrendersi.
Ecco QUEL CHE RESTA.
La tecnica del Gyotaku nasce nel XIX secolo quando i pescatori giapponesi attraverso l’impressione della sagoma tenevano traccia del pescato. Prima di evolversi in tecnica ornamentale era quindi un modo per “campionare”, fare un record: attraverso questa mostra che espone i lavori Gyotaku di Elena Dicapita quello che idealmente vogliamo fare è un “carotaggio”, una fotografia di ciò che rimane, ciò che ad oggi ancora resiste, sopravvive nel nostro mare, nel mare di Levante da cui questi animali tutti provengono.
Cosa resta ancora oggi nelle nostre acque. Cosa ne rimarrà domani? 

Quel che resta

L'artista

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